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Giuseppe
Celona - GIUFA': TEATRO |
Lo
Presti Editore (Capo d'Orlando - Messina)
1993 |
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Giuseppe
Celona, Benedetto Sergi - I RACCONTI
DI GIUFA' E ALTRE STORIE |
Edizioni
Greco (Catania) 1994 |
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Ogni
lavoro ha la sua storia; perciò,
nel tempo, intervengono elementi e fatti
che contribuiscono a modificare, arricchendole,
le esigenze da cui si era partiti. Così
è stato per questo libro: avrebbe
dovuto privilegiare il testo in dialetto
siciliano, e ha finito col ribaltare i termini
del problema. A determinare questo cambiamento
sono intervenuti due fattori: la ricchezza
del contenuto favolistico siciliano e la
fecondità dell'indagine linguistica.
La particolare bellezza
del repertorio di narrativa "popolare"
siciliana ha suggerito l'opportunità
di farla conoscere meglio anche a livello
nazionale; d'altra parte, per seguire i
presupposti linguistici da cui si era partiti,
anche il testo italiano avrebbe offerto
ampie opportunità d'indagine. Lo
scopo di questo lavoro è, infatti,
essenzialmente linguistico: realizzare,
praticamente, un primo avvicinamento, da
parte degli alunni della scuola media, all'origine,
specialmente latina (nella sua duplice accezione
fonetica e semantica), della lingua italiana
e del dialetto siciliano.
A tal proposito, appare
significativo sottolineare quanto è
opportunamente evidenziato dai Programmi
della scuola media del 1979: <<L'origine
latina - presente direttamente o indirettamente
nel lessico italiano - potrà essere
utilmente esplorata, mettendo in evidenza
le modificazioni semantiche e fonologiche:
facendo così prendere ragione sia
di alcuni aspetti fonologici (quali la pronuncia
e l'ortografia di alcuni fonemi italiani),
sia di alcuni aspetti semantici (quali le
derivazioni, i calchi, i prestiti ecc.,
la concorrenza di parole di tradizione popolare
e di parole di introduzione dotta) Si darà
rilievo agli scambi con le altre lingue
moderne, si metterà in luce l'apporto
dei dialetti e la loro utilizzazione pratica
ed espressiva (in canti, racconti, proverbi).>>
A tutto ciò va
aggiunto che per gli alunni che avranno
l'opportunità di leggere i testi
anche nella versione dialettale si presenterà
l'occasione di scoprire la ricchezza e la
varietà di tale strumento linguistico
e le connessioni strettissime che lo legano
ai diversi popoli stranieri (romani, arabi,
spagnoli, francesi) che si sono succeduti
nel governo dell'Isola. Cosa che consentirà
loro, come suggeriscono ancora i Programnmi,
di <<cogliere adeguatamente il riflesso
che gli eventi salienti della nostra storia
hanno avuto fino ad oggi sulla nostra lingua.>>
Al perseguimento di
questi scopi è rivolto, essenzialmente,
il ricco apparato didattico di note a corredo
del testo italiano e di quello dialettale.
A tali note (delle quali, volendo, si può
fare anche a meno), potranno fare riferimento
i docenti, utilizzandole, a livelli diversi,
sia per il recupero che per il potenziamento
linguisticoespressivo dei loro alunni.
Va da sé, infine,
che il testo proposto potrebbe rivelarsi
anche strumento prezioso di ampliamento
e di arricchimento per quegli alunni, e
sono ormai tantissimi, che già nella
scuola media di primo grado hanno intrapreso,
o sono sul punto di farlo, lo studio del
latino, non solo come riferimenti all'origine
latina della lingua italiana, ma in modo
più approfondito e sistematico.
Gli
autori
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Il personaggio
di Giufà, come tipo dello "sciocco",
è presente in Sicilia dal tempo degli
Arabi: mille anni, quindi. Il suo nome originale,
Guha, lo troviamo, con esiti diversi, in
molti Paesi dell'area mediterranea: Guhi
in Persia, Gawha in Nubia, Giucca in Toscana,
Zha in Marocco, Jugale in Calabria D'altro
canto, le sue azioni stravaganti si ritrovano,
anche per opera di altri personaggi, in
larga parte della novellistica tradizionale
italiana.
Giufà è
colui che dice cose ovvie ("Quannu
chiovi friddu fa, dici Giufà",
"Quando piove freddo fa, dice Giufà");
è colui che prende alla lettera le
parole altrui, portando spesso le situazioni
ad esiti imprevedibili. E', però,
anche il furbo che riesce a gabbare l'altrui
presuntuosa superiorità (vedi "Giufà
e quello della scommessa", "Mangiate,
abitucci miei", "Giufà
e lo zufolo").
L'elemento unificatore
di questa diversità è la natura
popolare del personaggio: Giufà ha
sempre come antagonisti coloro che rappresentano
il potere e le Istituzioni e, comunque,
persone di ceti sociali superiori. Non è
difficile comprendere le motivazioni di
tale antagonismo, dato che la sua condizione
è, a occhio, quella del bracciante
o del disoccupato.
Nei confronti di tutti
coloro che detengono il potere l'unica arma
a sua disposizione è la beffa, l'esito
comico; la beffa, di cui lo stesso Giufà
è, nella sua stupidità, vittima.
Da qui la comicità
elementare, pesante, spesso tragica, che
ha il sapore di una rivalsa da parte di
chi per secoli ha dovuto subire le prevaricazioni
di una società organizzata dall'alto.
Ecco perché Giufà è
stato spesso considerato, nella storia della
Sicilia, come simbolo della lotta tra gli
oppressori e gli oppressi, tra i prepotenti
e i deboli. Una storia umile e senza fanfare,
ma non per questo meno vera e umana.
Gli
autori
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Si cunta ca ccera
na mamma, e avia un figliu chiamatu
Giufà; sta mamma di Giufà
campava pòghira. Stu Giufà
era babbu, e lagnusu e mariuolo: so matri
avia na puocu di tila1
e cci dissi a Giufà: Pigliammu na
puocu di tila; e la va a vinni ntra
un paisi luntanu, e lha a vinniri
a chiddi pirsuni chi parlanu picca.2
Giufà si partì cu la
tila n cuoddu e si nni ij a
vinniri.
Arrivatu ntra un paisi accumincià
a vanniari:
- Cu voli la tila!
Lu chiamavanu li genti e accuminciavanu
a parlari assai, a cu cci paria grossa,
a cu cci paria cara. Giufà
cci paria ca parlavanu assà,
e un cci nni vulia dari.
Nquà camina di ccà,
camina di ddà, si nfila ntra
un curtigliu; ddà nun ccera
nuddu e cci truvà na
statua di gghissu, e cci dissi Giufà:
- La vuliti accattari3 la tila?
- e la statua un cci dava cuntu; ntantu
vitti ca parlava picca.
- Ora a vu, ca parlati picca, vhaju
a vìnniri la tila. Piglia la tila
cci la stenni di supra. Ora dumani viegnu
pri li grana. - E si nni ij.
Quannu agghiurnà, cci ij
pri li grana, e tila un ni truvà,
e cci dicia:
- Dùnami li grana di la tila.
E la statua un cci dicia nenti.
- Già ca un mi vò
dari li grana, ti fazzu vìdiri cu
sugnu ia.
Si mbresta un zappuni e va a mazzia
la statua fina ca lallavanca,
e nni la panza cci trova na baccaredda
di dinari.
Si minti li dinari nni lu saccu e si nni
va nni so mà; arrivannu, a
so mà cci dissi:
- La vinnivu la tila ad unu chi nun parlava,
e grana a la sira un mi nni detti;
puà cci jivu la matina cu lu zappuni,
lammazzavu, lu jittavu n terra
e mi detti sti dinari.
La mamma, ca era sperta, cci dissi:
- Un diri nenti, ca a puocu a puocu
nni jemmu manciannu sti dinari.
NOTE
1.
Nel passaggio dal latino al dialetto siciliano
le vocali latine, in sillaba tonica (con
laccento, cioè, sulla penultima
sillaba - come, ad esempio, in lùci
-) hanno subito delle trasformazioni, come
risulta dalla tabella seguente:
latino
A A E E I I O O U U
siciliano
a e i i u o u
Per quanto riguarda la parola di cui ci
stiamo occupando si è avuta la seguente
trasformazione: latino: telam >
siciliano tila.
2.
Avverbio, "poco". Catalano MICA
> siciliano antico PICA.
3.
Può essere penetrato nellItalia
meridionale e in Sicilia attraverso i Normanni:
antico normanno ACATER----> francese
ACHETER, a loro volta dal latino volgare
ADCAPTARE. Nota in questa parola latina
il fenomeno linguistico dellassimilazione,
per cui nei gruppi di consonanti PT, CT,
MN, DC, GD, la consonante che precede diventa
uguale (si assimila) a quella che segue.
Si ebbe, perciò, per la nostra parola:
latino siciliano adcaptare ----------
assimilazione ------------> accattari.
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Si racconta che cera
una madre che aveva un figlio chiamato Giufà.
La madre di Giufà viveva povera.
Giufà era stupido, poltrone e mariolo.
Sua madre, che aveva un po di tela1,
gli disse:
- Prendiamo un po di tela, e la vai
a vendere in un paese lontano; ma la devi
vendere solo a quelle persone che parlano
poco.
Giufà si mise la tela sulle spalle
e partì per andare a venderla. Giunto
in un paese, cominciò a dare voce:
- Chi vuole tela!
Le persone lo chiamavano e cominciavano
a parlare molto: per alcuni la tela era
grossa, per altri cara. A Giufà sembrò
che parlassero troppo, e non volle venderla
a nessuno di loro. Cammina di qua, cammina
di là, si infilò in un cortile,
dove non cera nessuno, tranne una
statua di gesso.
- La volete comprare la tela? - le chiese
Giufà.
Ma la statua non gli dava retta. Perciò
Giufà capì che parlava poco.
- Ecco, dato che parlate poco, a voi devo
vendere la tela - le disse.
Prese la tela e gliela stese addosso.
- Domani verrò a riscuotere i soldi.2
E andò via.
Quando fece giorno, tornò per ritirare
i soldi, ma tela non ne trovò.
- Dammi i soldi della tela - le diceva.
Ma la statua non gli rispondeva.
- Dato che non mi vuoi dare i soldi, ti
faccio vedere chi sono io.
Si fece prestare una zappa e cominciò
a menar colpi alla statua finché
la buttò a terra. Nella pancia trovò
una brocca piena di denari. Si mise i soldi
nel sacco e fece ritorno da sua madre, alla
quale, appena giunse, disse:
- Ho venduto la tela a un tale che non parlava
e che, la sera, non mi ha dato i soldi.
Lindomani mattina, però,
ci sono tornato con una zappa, lho
ammazzato, lho buttato a terra e così
mi ha dato questi denari.
La madre, che era furba, gli disse:
- Non dire niente a nessuno, così,
a poco3 a poco, questi denari
ce li andremo mangiando.
NOTE
1.
Nel passaggio dal latino allitaliano
le vocali latine, in sillaba tonica (con
laccento, cioè, sulla penultima
sillaba della parola es. nìvem -)
hanno subìto delle trasformazioni
dovute alla quantità lunga ( - )
o breve ( ) delle vocali stesse (vedi pag.
2), come mostra la TABELLA seguente:
latino
A A E I I E O O U U
italiano a è i é ò
o u
Per
quanto riguarda la parola di cui ci stiamo
occupando, si è avuta la seguente
trasformazione: latino italiano telam
> téla.
2.
Soldo: dal latino classico SOLIDUS (aggettivo
"compatto, massiccio") NUMMUS
(sostantivo "moneta"), termine
con cui si indicava una moneta doro
massiccio al tempo dellimperatore
Costantino. SOLIDUS divenne, per sincope,
SOLDUS. Il popolo chiamò, poi, soldo
qualsiasi moneta di metallo e, oggi, anche
di carta. Sappi che si dice sincope la caduta
della vocale mediana nelle parole sdrucciole
(con laccento sulla terzultima sillaba).
3.
Sappi che nel passaggio dal latino allitaliano
il dittongo latino au si è trasformato
in ò, come dimostra lesempio:
latino italiano paucum > poco.
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Nautra vota
la matri cci dissi:
- Giufà, haju sta pezza di tila
ca mabbisugnassi di falla tinciri;
va nna lu tincituri, chiddu ca tinci
virdi, nìuru, e cci la lassi pi tincirimilla.
Giufà si la metti n coddu,
e nesci. Camina camina, vidi na serpi
bella grossa; n vidennula, ca era
virdi, dissi:
- Mi manna me matri, e voli tinciuta sta
tila. (E cci la lassò ddà)
Dumani mi la vegnu a pigghiu.
Torna a la casa, e comu so matri senti
la cosa, si cuminciò a pilari.(1)
- Ah! sbriugnatu! comu mi cunsumasti!
Curri, e va vidi si ccè
ancora!
Giufà turnò; ma la tila avia
vulatu.
NOTE
1.
Infinito presente "strapparsi i capelli"
per il dolore. Dal latino tardo PILARE,
denominale (cioè derivato da un nome)
da PILUS "pelo".
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Unaltra volta sua
madre gli disse:
- Giufà, ho bisogno di far tingere
questa pezza di tela; vai dal tintore, quello
che tinge di verde, di nero, e gliela lasci
per farmela tingere.
Giufà si mise la tela sulle spalle
e uscì di casa. Cammina, cammina,
vide una serpe molto grossa. Vedendo che
era di colore verde, le disse:
- Mi manda mia madre che vuole che tu le
tinga questa tela. Domani verrò a
riprenderla.
E gliela lasciò lì.
Tornato a casa, appena la madre udì
questa storia, cominciò a strapparsi
i capelli.
- Ah! svergognato! come mi hai rovinato!
Corri, vai a vedere se è ancora lì!
Giufà tornò, ma la tela aveva
preso il volo.
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