Dal paesaggio
umano muove il primo scatto della poesia
di Celona. Il paesaggio come ricordo storico
porta «paura d'echi e di buio»
e «pietà», ma l'uomo
non cede alle tentazioni sentimentali e
si raccoglie nel suo silenzio difeso, nel
suo «dormiveglia» in cui transitano
sospinte da una pena lieve le immagini inesauste
della vita. E si scandiscono pure le scene
della morte in un verticale e vertiginoso
rapimento che spezza le barriere cronologiche
e quasi crea - volto amato su volto presente
e vicino - palinsesti, come se il gran libro
del tempo avesse tante pagine incollate:
il divieto di uno sviluppo per celebrare
il trionfo dei ricordi.
Così, il passato nebuloso racconta
le sue vicende non secondo il tramite dell'illustrazione,
ma nel corso di un continuo rifluire al
presente. La lettura di Celona è
allora oscillante: pretesto? effetto? E
difficile vedere con chiarezza il preciso
tragitto della sua osservazione. Ma dall'equivoco
sorge la vena più genuina e duratura
del discorso, e quel soffio di metalinguaggio
che estrania le cose e le parole, lo sconfinato
abisso del tempo trascorso e il piccolo
cerchio del «breve orizzonte della
vita».
Ogni avvenimento va vestendosi di rifrazioni,
ha una struttura dinamica che consente immediati
e imprevedibili colloqui (Lettera d'amore:
«Parlo spesso di te con lei / di quella
tua smania di crescere / di questa mia pena
di sapere / ch'è breve / la luce
che tremava sopra i pioppi»), che
legge la «paziente operosità
dei contadini» e sa dei «canti
dei pastori siciliani».
La tensione della silloge che oltrepassa
i circoscritti segni del mondo consente
lo scatto dalla partitura metafisica a quella
diaristica cui L'ora della luce fa da imprimatur: «Sapevo i giorni
dal canto dei passeri / che nutrivo con
gli occhi ogni mattina / nel nido...».
La successione delle memorie è affidata
al puntuale referente della natura («
Vissi tra l'erba e i fossi / e l'arsura
dei colli quando / non sapevo d 'esistere
») che si apre, immagine dietro immagine,
con lo stesso ritmo con cui l'autore ritrova
il suo tempo scaduto ma non cancellato:
e restano brandelli di visioni ferite da
parole oltre il tempo della loro traiettoria.
Esemplare La festa dell'Ascensione con quel suo duplice ordine espressivo:
il tempo del ricordo, sistemato in un allineamento
cronistico e il tempo della profezia, chiuso
da pause parentetiche tanto ricche di messaggi.
Con lo spartito dellOra del sole
Celona acumina il suo risentimento, prende
inventari sentenziosi, li raggela nella
lapidaria e nominale esecuzione dell'Orologio
pazzo. Una componente mistica (tutta
raccolta nelle cose, nel codice quotidiano:
«T'ho cercato Signore sul muro bianco
/ della mia stanza in pianto t'ho chiamato»)
sale con le memorie, le fa lievi e si arresta
sulla soglia del presente, poiché
l'oggi è meno dolce di incanti e
di fede, rispecchia il «profilo d'uomo
smarrito» del poeta, sente l'eco della
sua voce, ormai «roccia compatta»,
si confonde con le forme disperate del paesaggio
che è «attonita landa stecchita».
E mentre si srotolano le figure di una storia,
sì che la lirica di Celona assume
movenze narrative (ci riferiamo, ad esempio,
alla figura del poeta Lucio
Piccolo, «barone-cavaliere / che
proteggvi la camera interna / ai latrati
alti dei cani»), si cuce il filo della
confessione e della scoperta di un mondo
riconvertito nelle immagini fiorite nel
territorio della riflessione.
E al ritmo meditativo Celona affida il racconto
del proprio dolore trascritto nella semplice
latitudine delle piccole azioni dei giorni
semplici, delle abitudini antiche di un
vivere dentro le ferite della cronaca quotidiana:
come in Ora che in lunga fila, una
delle liriche più alte e terse del
volume, una pagina in cui la sottile trama
dei ricordi è fermata senza aloni
al docile rito delle figure. Poi, le occasioni
minute si fanno lungo itinerario di emozioni,
sfera purificata dal «sole / che sempre
asciuga le lacrime / del mondo»
La meta è così nella «carezza
della mano di neve», nelle visioni
dolci e amare della terra natale, pronte
a svanire, impercettibilmente, al flusso
del pensiero: e nella storia che la favola
dell'Isola ritesse, con i suoi silenzi,
più forte scende il soffio dell
«anima contadina».
Giuseppe
Amoroso
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