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Prefazione al volume di Giuseppe Amoroso
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1. Nella « tomba della caccia e pesca » a Tarquinia
2. L'ora della luce
3. La festa dell'ascensione
4. Pescatore
5. Alla memoria di Lucio Piccolo
Finalista al I° e al II° Concorso Nazionale di Poesia inedita Marina di Palese 1973 e 1974 e all'ottava edizione del Concorso di Poesia "Città di Piacenza" 1974, ha ricevuto lusinghieri giudizi critici. Stampato nell'anno 1977 a cura di Pier Luigi Rebellato Editore (Venezia).
 

Dal paesaggio umano muove il primo scatto della poesia di Celona. Il paesaggio come ricordo storico porta «paura d'echi e di buio» e «pietà», ma l'uomo non cede alle tentazioni sentimentali e si raccoglie nel suo silenzio difeso, nel suo «dormiveglia» in cui transitano sospinte da una pena lieve le immagini inesauste della vita. E si scandiscono pure le scene della morte in un verticale e vertiginoso rapimento che spezza le barriere cronologiche e quasi crea - volto amato su volto presente e vicino - palinsesti, come se il gran libro del tempo avesse tante pagine incollate: il divieto di uno sviluppo per celebrare il trionfo dei ricordi.
Così, il passato nebuloso racconta le sue vicende non secondo il tramite dell'illustrazione, ma nel corso di un continuo rifluire al presente. La lettura di Celona è allora oscillante: pretesto? effetto? E’ difficile vedere con chiarezza il preciso tragitto della sua osservazione. Ma dall'equivoco sorge la vena più genuina e duratura del discorso, e quel soffio di metalinguaggio che estrania le cose e le parole, lo sconfinato abisso del tempo trascorso e il piccolo cerchio del «breve orizzonte della vita».
Ogni avvenimento va vestendosi di rifrazioni, ha una struttura dinamica che consente immediati e imprevedibili colloqui (Lettera d'amore: «Parlo spesso di te con lei / di quella tua smania di crescere / di questa mia pena di sapere / ch'è breve / la luce che tremava sopra i pioppi»), che legge la «paziente operosità dei contadini» e sa dei «canti dei pastori siciliani».
La tensione della silloge che oltrepassa i circoscritti segni del mondo consente lo scatto dalla partitura metafisica a quella diaristica cui L'ora della luce fa da imprimatur: «Sapevo i giorni dal canto dei passeri / che nutrivo con gli occhi ogni mattina / nel nido...». La successione delle memorie è affidata al puntuale referente della natura (« Vissi tra l'erba e i fossi / e l'arsura dei colli quando / non sapevo d 'esistere ») che si apre, immagine dietro immagine, con lo stesso ritmo con cui l'autore ritrova il suo tempo scaduto ma non cancellato: e restano brandelli di visioni ferite da parole oltre il tempo della loro traiettoria. Esemplare La festa dell'Ascensione con quel suo duplice ordine espressivo: il tempo del ricordo, sistemato in un allineamento cronistico e il tempo della profezia, chiuso da pause parentetiche tanto ricche di messaggi.
Con lo spartito dell’Ora del sole Celona acumina il suo risentimento, prende inventari sentenziosi, li raggela nella lapidaria e nominale esecuzione dell'Orologio pazzo. Una componente mistica (tutta raccolta nelle cose, nel codice quotidiano: «T'ho cercato Signore sul muro bianco / della mia stanza in pianto t'ho chiamato») sale con le memorie, le fa lievi e si arresta sulla soglia del presente, poiché l'oggi è meno dolce di incanti e di fede, rispecchia il «profilo d'uomo smarrito» del poeta, sente l'eco della sua voce, ormai «roccia compatta», si confonde con le forme disperate del paesaggio che è «attonita landa stecchita». E mentre si srotolano le figure di una storia, sì che la lirica di Celona assume movenze narrative (ci riferiamo, ad esempio, alla figura del poeta Lucio Piccolo, «barone-cavaliere / che proteggvi la camera interna / ai latrati alti dei cani»), si cuce il filo della confessione e della scoperta di un mondo riconvertito nelle immagini fiorite nel territorio della riflessione.
E al ritmo meditativo Celona affida il racconto del proprio dolore trascritto nella semplice latitudine delle piccole azioni dei giorni semplici, delle abitudini antiche di un vivere dentro le ferite della cronaca quotidiana: come in Ora che in lunga fila, una delle liriche più alte e terse del volume, una pagina in cui la sottile trama dei ricordi è fermata senza aloni al docile rito delle figure. Poi, le occasioni minute si fanno lungo itinerario di emozioni, sfera purificata dal «sole / che sempre asciuga le lacrime / del mondo»
La meta è così nella «carezza della mano di neve», nelle visioni dolci e amare della terra natale, pronte a svanire, impercettibilmente, al flusso del pensiero: e nella storia che la favola dell'Isola ritesse, con i suoi silenzi, più forte scende il soffio dell’ «anima contadina».

Giuseppe Amoroso

 

Volti ondeggianti
nel sonno azzurro d'un tempio di cristallo
occhi protesi
ad un'alba di voli
hanno premuto
piano
al mio cuore
da tempo sospeso
in quest'arido pozzo
di notti senza stelle.

Dà luce alla vita
un filo di cenere vana
segnata sul tufo.
E l'ombra bambina si leva
ad ascoltare il vento sui fiori
cigno bianco
che aleggia odoroso
sul cuore dei morti.

La luna riposa leggera
sull'erba visita i fiori dei colli
fra rami d'ulivi sbilenchi
si scioglie profonda
nell'anima. Sul poggio balza
l'ansia dei cani
se lepre inquieta
beve estremo odor di ginestra
non vale fermare in gola
il tenero cuore il muso del bracco
insidia il musetto d'aria.
Mi gela mobile ombra di peli
sanguigni sull'erba e zampe di vento
sopra il silenzio luminoso
di un grigio cerchio d'ulivi.
Inerte pigrizia m'assale
e paura d'echi e di buio
pietà di rompere quel tenue cerchio
di luce e l'effimera gioia
di una breve danza.

Mi resta soltanto la casa
sul mare sorpresa se ode
cercare i cari volti
graffiti su bianche pareti:
« E' vano seguire sull'onde
il guizzo d'un pesce
annegato nel bianco odore
di muffa. E' vano inventare
un senso ai tuoi giorni
non vedi nel mare limpido groviglio
di reti e maglie strette?
E scorre ancora quella luce
di lampare, esca al breve volo
d'ombra di d'altri pesci ».

Mi sono seduto
sul molle divano di tufo
e in dormiveglia ho riposato.

 

Sapevo i giorni del canto dei passeri
che nutrivo con gli occhi ogni mattina
nel nido. Schiudevano le imposte
col becco d'oro di corsa per il greto
noi fatti di luce di cielo
sul colle dei cipressi
vicino al cimitero. Non era fatica
trovare Dio: silenzio acceso
di una breve sosta, ed era foglia
era vento tra i pali della vigna
luce nell'anima leggera il sospiro
fresco dei morti lassù nel cimitero.

 

Al tempo dei sonni lunghi
le campane svegliavano la luce
onda di odori
di timo di menta di maggiorana.
(Coi papaveri inquieti farò un cuore
grande nella strada di casa mia
con le ginestre d'oro.
scriverò « Viva Gesù »). Si sente
mia madre raschiare le erbacce
dai muri. (Festoni d'edera
lumini in fila sui davanzali
il fumo nelle case.
I fiori copriranno i sassi
i vecchi muri le coperte
ricamate ai balconi). Il vento
mi vince che spinge dalla strada
aerea gioia di bimbi.
(Mi strapperò le vesti nere
e la tristezza farò in tempo
a gridare coi bimbi in bianco
« Giorno di paradiso »). Un brivido
di rose sulla mia pelle giovane
e margherite a volo dai balconi
fiori di campo in danza
corteggiano le case
sorprese dentro il sonno.
« C'erano - raccontava la nonna
di mia nonna - tanti fuochi su quelle
alture la vigilia dell'Ascensione ».
Sorride fredda la luna
dal nitido ostensorio del colle.
« Sui davanzali delle finestre nere
petali di rose profumate
nell'acqua di un catino
un tovagliolo candido
un pane e delle arance ».
(Di quel pane benedetto mi ciberò
nei giorni che verranno al mattino
laverò con quell'acqua gli occhi
stanchi e le lordure respirerò
col cuore triste e grande
della mia gente antica).

 

Non fai in tempo
a ricucire neppure
una maglia del passato
e già t'accorgi ch'è penoso
raccogliere le fila
del giorno trascorso
ordito in mille trame.
Le reti del futuro
son già distese al sole.
Il pescatore
seduto sulla riva
volge lo sguardo al mare
ch'è un luccichio d'argento
di teste saltellanti.

 

Su questi colli t'ho visto vagare
in capo la gabbia chiusa
stanza novello Diogene a cercare
a lume di candela non l'uomo
che ti stava accanto ma cattedre
di fogliame-uccelli volti-capra
figure d'enigma...
E sulle orme vaste dei tuoi stivali
aristocratici ho ripercorso i canti
barocchi il vicolo la buia casa
dove nascondevi vergogne feudali
e l'amore-veleno che pure
ricrea la vita e il casato.
Il poeta è a misura d'uomo: questo
ho imparato da te barone-cavaliere
che proteggevi la camera interna
ai latrati alti dei cani ed io
la vita-tempesta al respiro
caldo dei tuoi contadini
e allo scudo delle loro mani.

   
 
PROPRIETA' LETTERARIA E ARTISTICA RISERVATA