D'un tratto,
le sembrò che un'ombra, alzandosi,
si ponesse davanti a quelle stelle e che
una figura si delineasse alle sue spalle.
Si girò di scatto. Un uomo stava
in piedi sulla finestra. Gemma si alzò
e aprì la bocca per gettare un grido,
ma lo sconosciuto, lanciandosi nella stanza,
congiunse le mani e con voce supplichevole:
- In nome del cielo, - le
disse, - non chiamate nessuno, signora,
perché, sul mio onore, non avete
nulla da temere, e io non voglio farvi alcun
male!
Gemma ricadde a sedere sulla
poltrona. Il momento di silenzio che seguì
a quella apparizione e a quelle parole,
le diede il tempo di gettare un'occhiata
rapida e timorosa sullo straniero che si
era appena introdotto nella sua stanza in
un modo così bizzarro e strano.
Era un giovane di venticinque
ventisei anni che, a prima vista, si pensava
dovesse appartenere alla classe del popolo.
Portava un cappello calbrese, fasciato da
un largo nastro che gli ricadeva ondeggiante
sulla spalla; una giacca di velluto con
bottoni d'argento; pantaloni della stessa
stoffa e con le stesse guarnizioni, stretti
alla vita da una fascia di seta rossa con
ricami e frange verdi come quelle che si
fanno a Messina, a imitazione di quelle
lavorate in Oriente. Infine, gambaletti
e scarpe di cuoio completavano il costume
montanaro, che non mancava di una certa
eleganza e che sembrava fatto apposta per
mettere in risalto le belle e armoniose
forme del corpo di chi lo indossava. Il
volto era di una bellezza selvaggia: aveva
tratti fortemente marcati propri dell'uomo
meridionale, occhi arditi e fieri, capelli
e barba neri, naso aquilino e denti perfetti.
Naturalmente Gemma non fu
affatto rassicurata da questo esame, tanto
più che lo straniero, vedendole allungare
il braccio verso il tavolo per cercare il
campanello d'argento che vi era sopra:
- Non mi avete udito, signora?
- le disse con quel tono di infinita dolcezza
a cui si presta tanto bene il dialetto siciliano.
- Non voglio farvi alcun male anzi, al contrario,
se mi concederete la grazia che vengo a
chiedervi, vi adorerò come una madonna.
Già voi siete bella come la madre
di Dio: siate anche buona come lei.
- Ma finalmente che volete
da me? - disse Gemma con voce ancora tremante.
- E come vi siete permesso di entrare in
questo modo, nella mia stanza, a quest'ora?
- Se avessi chiesto un abboccamento
a voi, nobile, ricca e amata da un uomo
che è quasi un re, avrei potuto sperare
che l'avreste concesso, a me, povero e sconosciuto?
Ditemelo, signora. Del resto, se pure aveste
avuto tale bontà, avreste potuto
tardare a rispondermi, e io non avevo il
tempo di aspettare.
- Ebbene, che posso fare
per voi? - disse Gemma rassicurandosi sempre
di più.
- Tutto, signora. Perché
avete nelle vostre mani la mia disperazione
o la mia felicità, la mia morte o
la mia vita.
- Non vi capisco. Spiegatevi.
- E' al vostro servizio una giovane di Bauso.
- Teresa?
- Sì, Teresa - aggiunse
il giovane con voce tremante. - Questa giovane,
che sta per sposare un cameriere del principe
di Carini, è la mia fidanzata.
- Ah, siete voi?
- Sì, è me
che stava per sposare quando ricevette la
lettera con cui la chiamavate presso di
voi. Mi promise di restarmi fedele, di parlarvi
di me e, se voi aveste respinto la sua richiesta,
di venirmi a tro vare. L'aspettavo, infatti.
Ma sono trascorsi tre anni senza più
rive derla e, poiché non è
tornata lei, sono venuto io. Al mio arrivo
ho saputo ogni cosa, perciò ho pensato
di venirmi a gettare ai vostri piedi e chiedervi
Teresa.
- Teresa è una giovane
che amo e da cui non intendo separarmi.
Gaetano è il cameriere del principe:
sposando lui, mi resterà vicina.
- Se questa è una
condizione, entrerò al servizio del
principe, - disse il giovane, mostrando
chiaramente di fare violenza a se stesso.
- Teresa mi aveva detto
che non volevate fare il servo.
- E' vero. Tuttavia, se
ciò si rendesse necessario, farei
questo sacrificio per lei. Solo, se fosse
possibile, preferirei essere assunto come
campiere anziché come domestico.
- Va bene, ne parlerò
al principe, e se egli acconsente
- Il principe vorrà
tutto ciò che vorrete voi, signora:
voi non pregate, voi ordinate, io lo so.
- Ma chi mi garantirà
per voi?
- La mia riconoscenza eterna, signora.
- E' necessario, inoltre, ch'io sappia chi
siete.
- Sono un uomo di cui potete
fare l'infelicità o la felicità.
Ecco tutto.
- Il principe mi chiederà
il vostro nome.
- Che gli importa il mio
nome? Lo conosce forse? Il nome di un povero
contadino di Bauso è mai giunto fino
al principe?
- Ma io sono del vostro
stesso paese. Mio padre era conte di Castelnuovo
e abitava in una piccola fortezza a un quarto
di lega dal villaggio.
- Lo so, signora, - rispose
il giovane con voce cupa.
- Ebbene, io devo conoscere
il vostro nome. Ditemelo, dunque, e vedrò
se potrò fare qualcosa.
- Credetemi, signora contessa,
è meglio che l'ignoriate. Che importa
il mio nome? Sono un uomo onesto, renderò
felice Teresa e, se occorre, mi farò
uccidere per il principe e per voi.
- La vostra ostinazione
è strana. E a maggior ragione insisto
a co noscere il vostro nome in quanto, avendolo
chiesto a Teresa, anche lei, come voi, si
è rifiutata di dirmelo. Vi avverto,
perciò, che non farò nulla
se non a questa condizione.
- Voi lo volete, signora?
- Lo esigo.
- Ebbene, per l'ultima volta, ve ne supplico.
- O dite come vi chiamate
o uscite! - disse Gemma con gesto di co
mando.
- Mi chiamo Pasquale Bruno,
- rispose il giovane con voce tanto calma
da far credere che tutta l'emozione fosse
svanita, se, dal pallore del viso, non si
indovinasse chiaramente quanto soffrisse
dentro.
- Pasquale Bruno! - esclamò
Gemma, indietreggiando con tutta la poltrona,
- Pasquale Bruno! Sareste voi il figlio
di Antonio Bruno la cui testa si trova in
una gabbia di ferro al castello di Bauso?
- Sono suo figlio.
- Ebbene, ditemi: sapete
perché la testa di vostro padre si
trova lì?
Pasquale restò zitto.
- Perché vostro padre
- continuò Gemma, - tentò
di assassinare il mio.
- Conosco bene tutta questa
storia, signora. E so anche che, portandovi
a passeggio nel villaggio quand'eravate
ancora bambina, le cameriere e i servi vi
mostravano quella testa e vi dicevano che
era di mio padre che aveva tentato di assassinare
il vostro. Ma non vi dicevano, si gnora,
che vostro padre aveva disonorato il mio.
- Voi mentite.
- Dio possa punirmi se non
dico la verità, signora. Mia madre
era bella e onesta, il conte l'amò,
e mia madre resistette a tutte le proposte,
a tutte le promesse, a tutte le minacce.
Ma un giorno che mio padre era andato a
Taormina, egli la fece rapire da quattro
uomini che la portarono in una piccola casa
di sua proprietà, tra Limeri e Furnari,
oggi diventata locanda E là là,
signora, egli la violentò!
- Il conte era signore e
padrone del villaggio di Bauso: gli abitanti
gli appartenevano, corpo e beni. Amando
vostra madre, le faceva un grande onore!
- A quanto pare, mio padre
non la pensò così, - disse
Pasquale, aggrottando le sopracciglia. -
Infatti, era nato a Strilla, sulle terre
del principe di Moncada-Paternò,
e certamente questa circostanza lo spinse
a ferire il conte. La ferita non fu mortale.
Meglio così. Me ne sono rammaricato
a lungo, ma oggi, a mia vergogna, ne sono
contento.
- Se ricordo bene, non solo
vostro padre è stato messo a morte
come omicida, ma anche i vostri zii sono
in galera.
- Avevano dato asilo all'assassino
e lo avevano difeso quando gli sbirri erano
andati ad arrestarlo. Furono considerati
complici, e mio zio Placido fu mandato a
Favignana, mio zio Pietro a Lipari, mio
zio Peppe a Vulcano. Quanto a me, ero troppo
piccolo; tuttavia, mi arrestarono insieme
a loro, ma poi mi restituirono a mia madre.
- E che ne è stato
di vostra madre?
- E' morta.
- Dove?
- Sulle montagne, tra Pizzo di Gotto e Nisi.
- Perché aveva lasciato Bauso?
- Per non vedere, tutte
le volte che passavamo davanti al castello,
lei, la testa del marito e io, la testa
di mio padre. Sì, è morta
là, senza medico e senza prete. E'
stata sepolta fuori della terra consacrata,
e fui io il suo solo becchino Allora, signora
- mi perdonerete, spero - sulla terra appena
rivoltata, ho fatto il giuramento di vendicare
tutta la mia famiglia, della quale restavo
io solo (non considero più i miei
zii appartenenti a questo mondo) su di voi
che siete la sola superstite della famiglia
del conte. Ma, che volete? Mi innamorai
di Teresa, lasciai le mie montagne per non
vedere più la tomba verso la quale
sentivo di diventare spergiuro; scesi al
piano, mi avvicinai a Bauso e feci ancora
di più. Appena venni a sapere che
Teresa lasciava il villaggio per entrare
al vostro servizio, pensai di mettermi anch'io
al servizio del principe. Lottai a lungo
contro questo pensiero. Infine, mi ci abituai.
Presi la decisione di vedervi. Vi ho visto,
ed eccomi qui, disarmato e supplice, di
fronte a voi, signora, davanti a cui avrei
dovuto presentarmi come nemico.
- Comprenderete - rispose
Gemma, - che è impossibile che il
principe prenda al suo servizio un uomo
che ha avuto il padre impiccato e ha gli
zii in galera.
- Perché no, signora,
se quest'uomo è disposto a dimenticare
che queste cose sono state fatte ingiustamente?
- Siete pazzo!
- Contessa, sapete cosa
significa un giuramento per un montanaro?
Ebbene, io verrò meno al mio giuramento.
Sapete cos'è la vendetta per un Siciliano?
Ebbene, rinuncerò alla mia vendetta
Non chiedo altro che di dimenticare tutto.
Non costringetemi a ricordare.
- Nel qual caso, che fareste?
- Non voglio neppure pensarci.
- Bene. Ci regoleremo di conseguenza.
- Ve ne supplico, contessa,
siate buona con me. Vedete che faccio il
possibile per restare un uomo onesto. Una
volta che sarò al servizio del principe,
una volta che sarò il marito di Teresa,
potrò rispondere di me D'altronde,
non farò più ritorno a Bauso.
- E' impossibile!
- Contessa, voi avete amato!
Gemma sorrise sdegnosamente.
- Dovreste sapere, allora,
cos'è la gelosia; dovreste sapere
ciò che si soffre e come si abbia
la sensazione d'impazzire. Orbene, io amo
Teresa, sono geloso di lei, sento che perderei
la ragione se si fa cesse questo matrimonio.
E allora
- E allora?
- Allora! Attenta che non
abbia a ricordarmi della gabbia dove c'è
la testa di mio padre, delle prigioni dove
vivono i miei zii, della tomba dove dorme
mia madre.
In quel momento si udì
sotto la finestra un grido strano, che sembrava
un segnale, e quasi subito echeggiò
il suono di un campanello.
- Ecco il principe! - esclamò
Gemma.
- Sì, sì,
lo so! - mormorò Pasquale con voce
cupa. - Ma prima che giunga a questa porta,
avete ancora il tempo di dirmi sì.
Ve ne supplico, signora, concedetemi ciò
che vi chiedo; datemi Teresa, mettetemi
al servizio del principe.
- Lasciatemi passare! -
disse con tono di comando Gemma, andando
verso la porta.
Ma, invece di ubbidire a
quell'ordine, Bruno si lanciò verso
il chiavistello e lo chiuse.
- Osereste fermarmi? - continuò
Gemma, afferrando il cordone di un campanello.
- A me, aiuto, aiuto!
- Non chiamate, signora,
- disse Bruno, riuscendo ancora a dominarsi,
- perché vi ho detto che non volevo
farvi alcun male.
Un secondo grido, simile
al primo, giunse da sotto la finestra.
- Bene, bene, Alì,
tu vigili fedelmente, figlio mio, - disse
Bruno. - Sì, so che sta arrivando
il principe, sento i suoi passi nel corridoio.
Signora, signora, vi rimane ancora un istante,
un secondo, e tutte le sventure che prevedo
non accadranno
- Aiuto, Rodolfo, aiuto!
- gridò Gemma.
- Non avete, dunque, né
cuore né anima né pietà!
Né per voi né per gli altri!
- disse Bruno, affondando le mani nei propri
capelli e tenendo d'occhio la porta che
veniva scossa violentemente.
- Sono chiusa, - continuò
la contessa, rassicurandosi per l'aiuto
che le giungeva, - chiusa con un uomo che
mi minaccia. A me, Rodolfo, a me! Aiuto!
- Io non minaccio, io prego
io prego ancora ma poiché lo volete!
Bruno mandò un ruggito
di tigre e si lanciò contro Gemma,
deciso a soffocarla con le sue stesse mani
perché, come aveva detto, era disarmato.
In quel preciso istante, si aprì
una porta nascosta in fondo all'alcova,
si udì un colpo di pistola, la stanza
si riempì di fumo. Gemma svenne.
Quando riprese i sensi, era tra le braccia
del marito. Con gli occhi terrorizzati guardò
in giro per la stanza, e appena fu in grado
di articolare qualche parola:
- Che ne è di quell'uomo?
- disse.
- Non so. Devo averlo mancato,
- rispose il principe, - perché,
nel momento in cui passavo sopra il letto,
egli è saltato dalla finestra. D'altronde,
avendo visto voi svenuta, non mi sono preoccupato
di lui, ma di voi. Devo averlo mancato,
- andava ripetendo, mentre volgeva gli occhi
in giro per la stanza. - Eppure, è
strano, non vedo la pallottola nella tappezzeria.
- Fatelo inseguire, - esclamò
Gemma, - e nessuna grazia, nessuna pietà
per quell'uomo, perché, monsignore,
quell'uomo è un bandito che voleva
uccidermi.
Le ricerche si protrassero
per tutta la notte nella villa, nei giardini
e sulla spiaggia, ma invano. Pasquale Bruno
era scomparso.
L'indomani si scoprì
una traccia di sangue, che cominciava ai
piedi della finestra e si perdeva nel mare. |