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Introduzione al volume
 
Ficarra nell'Ottocento
di Pietro Mancuso
 
Altri scritti contenuti nel volume
STORIA DEI NEBRODI - A cura di Giuseppe Celona
Pungitopo Editore (Patti - Messina) 1987
 

Queste brevi note non vogliono avere la pretesa di presentare le relazioni contenute in questo volume, nè di tentare di dare un bilancio dell'iniziativa culturale conclusasi il 9 agosto 1986.

Vorrei piuttosto indicare al cortese lettore alcune delle motivazioni di fondo che mi hanno spinto ad ideare e ad organizzare il "1° Congresso di storia medioevale, moderna e contemporanea dei Nebrodi", tenutosi a Ficarra, nel suggestivo e maestoso scenario del convento dei frati minori osservanti, il 7, 8, 9 agosto 1986.

Tali motivazioni, che possono costituire ancora le ragioni principali per proiettare nel futuro questa manifestazione, si possono così sintetizzare: 1. la convinzione che solo da una ripresa culturale (e la "memoria" storica è, in tal senso, quanto mai indicativa) possa scaturire la rinascita, anche economico-sociale, di questi paesi dei Nebrodi, arrampicati su queste montagne, che un tempo furono la culla di una cultura che nulla aveva da invidiare a nessuno;

2. l'interesse che esiste tra gli studiosi (storici di professione e locali) per la ricerca storica, rivolta verso questi centri montani dei Nebrodi, perché si intuisce, anzi si sa (e il congresso ne è stata la più schiacciante riprova) che essi nascondono materiali e documenti storici di rilevante importanza, per poter tracciare, su tali fondamenti, un'ampia sintesi della storia della Sicilia;

3. la curiosità appassionata delle popolazioni nebroidensi per la loro storia (come dimostra la larga partecipazione di pubblico nelle tre serate del Congresso), come bisogno e tentativo (che non deve essere disatteso) di rinvenire una loro identità culturale e umana;

4. la possibilità di costruire con questo appuntamento - e con ciò che lo segue e che serve a prepararlo - un'occasione di incontro tra le Amministrazioni comunali dei Nebrodi, al fine di rompere il loro infecondo isolamento;

5. una delle occasioni - che dovrebbero però infittirsi di travasare la cultura storica e la relativa metodologia di ricerca dal mondo accademico alla coscienza popolare, collegando, al contempo, i fermenti che provengono dalle Università siciliane all'altra cultura, cosiddetta locale, così vivace e promettente in questo territorio nebroidense.

Sollecitati da queste profonde motivazioni e da queste speranze, ci accingiamo a preparare la seconda edizione del Congresso di storia dei Nebrodi, che speriamo di far precedere da una "conferenza organizzativa", che vedrà coinvolte, oltre alle amministrazioni comunali dei Nebrodi, anche le facoltà di storia delle tre Università siciliane.

Intanto mi preme ringraziare l'Amministrazione comunale di Ficarra per la sensibilità e l'apertura manifestate e per il contributo, anche finanziario, offerto per la soluzione dei molteplici problemi che ho dovuto affrontare; ringrazio, altresì, i sindaci e gli assessori dei Comuni dei Nebrodi, che con la loro disponibiltà hanno consentito una larga partecipazione di studiosi e di pubblico; un vivo ringraziamento e apprezzamento rivolgo, infine, al "Comitato organizzatore" del Congresso, costituito esclusivamente da giovani, che con il loro appassionato entusiasmo, con la loro intelligente operosità hanno dimostrato, a tutti, che i giovani, opportunamente motivati, sono capaci di grandi cose.

Ficarra, 22.X.1996    
    L'ASSESSORE AI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E DELLA P.I. DEL COMUNE DI FICARRA
     
    (Pres. prof. Giuseppe Celona)
 

Ficarra aveva chiuso il secolo decimottavo subendo, per quanto la riguardava, le riforme iniziate dai Borboni, ma insieme mantenendo la chiusura allo spirito della rivoluzione francese.

La nostra media borghesia agraria, conservatrice per tradizione e povera di idee, subita il fascino della monarchia di Ferdinando IV di Borbone. Quando egli nel 1805, fuggendo davanti alle truppe napoleoniche, visitava la Sicilia nella quale si era rifugiato, per confortarsi insieme ai sudditi, quasi certamente la delegazione di Ficarra faceva spicco nella chiesa di Gioiosa Mare, dove si contò un solenne Te Deum davanti al Re.

Il senso di patria siciliana, che attraverso i secoli aveva subito alti e bassi, all'inizio dell'ottocento spesso in contrapposizione a Napoli, legava le varie classi e faceva dimenticare i veri problemi. Con la Costituzione Siciliana del 1812 anche il basso ceto si aspettava una fetta dei beni feudali; ma invece furono i ceti che erano al potere quelli che consolidarono il proprio patrimonio e il dominio sugli altri. A Ficarra la familglia Piccolo, in origine, poi Piccolo Cupane, Piccolo Grasso, Piccolo Lipari e le famiglie Milio, Busacca, Ferraloro, Saitta, Miraglia sono il polo di potere economico e di comando. Nello spirito dei tempi attorno a loro si crea una fitta rete di servizi: campieri, mezzadri, coloni, criati e personale di fiducia vario.

Lo stesso basso clero, come quello di Ficarra, anche quando usciva dalla media borghesia, era condannato ad una funzione subalterna, e comunque di comodo. Nel primo ottocento le classi di Ficarra, pur nella distinzione, mantenevano una equilibrata collaborazione nell'interesse dei benestanti e dei ceti poveri. Se c'era una categoria, temuta dal ceto abbiente come dai poveri, era la categoria degli intellettuali per le loro idee giacobine e spesso anticlericali.

Al Congresso di Vienna del 1815, Ferdinando, quarto re di Napoli e terzo di Sicilia, ottiene l'unificazione dei due regni nella sua persona e prende il nome di Ferdinando I, re delle Due Sicilie. La sede del regno diventa Napoli. La Costituzione del 1812 viene annullata e la Sicilia perde ogni autonomia. Si succedono alcuni anni di tensione, fino a sfociare nei moti siciliani del 1820-21. Prima che degenerassero in scontri armati, con morti e feriti, i siciliani avevano inviato una petizione al Re confermando la simpatia nei suoi riguardi, ma chiedendo una larga autonomia amministrativa. I 1826 abitanti di Ficarra furono tutti solidali, e il nostro comune fu uno dei dieci della provincia di Messina a sottoscrivere la petizione.

Non si è accennato ai Baroni feudatari di Ficarra sia perché il comune ormai aveva una completa autonomia e sia perché la baronia di Ficarra si era ridotta a puro titolo nobiliare. Difatti tutti i beni feudali erano stati alienati. Dall'anno 1761 portava il titolo di barone di Ficarra don Mariano Abate Rivarola; dal 1908 fu barone Ignazio Abate Branciforte. Gli successe Mariano Abate La Grua, morto nel 1862 a Palermo, senza eredi.

Alla baronia di Ficarra erano frattanto subentrati i ceti che con i loro capitali poterono acquistare grossi fondi e si affiancarono alle antiche famiglie nobili di Ficarra, costituendo la nuova classe dei civili. Nel secolo precendente molti erano diventati proprietari prendendo in enfiteusi dei fondi. Tale istituto era stato reso obbligatorio dai Borboni riguardo ai beni della Chiesa. Quando nel 1860/66 subentrarono le leggi eversive piemontesi, gli enti ecclesiastici di Ficarra avranno ben pochi terreni, ma solo edifici.


Vita religiosa, economica e sociale


A metà dell'Ottocento vi erano a Ficarra dieci chiese urbane e cinque rurali.

Le chiese erano: Chiesa Madre, sede della Parrocchia Maria SS. Assunta; Chiesa della Badìa, delle suore Benedettine; Chiesa S. Maria di Gesù, con il convento dei Minori Osservanti; Chiesa di S. Niccolò, con tre altari; Chiesa S. Maria dei Greci o del Carmine; Chiesa di San Giovanni, tuttora esistente; Chiesa dello Spirito Santo; Chiesa di San Marco, tuttora esistente; Chiesa di S. Michele; Chiesa di S. Francesco Saverio, non si conosce il luogo.

Le chiesa rurali erano: Chiesa di S. Gaetano, in contrada S. Noto; Chiesa di S. Giuseppe, nella contrada omonima; Chiesa S. Francesco di Paola, in contrada Sirallo; Chiesa di S. Francesco Saverio, in Matini; Chiesa della Purità, in contrada Spartà.

Le chiese principali avevano il sacerdote in servizio stabile per la messa quotidiana. Molti legati assicuravano le somme per la celebrazione quotidiana delle Messe.

A Ficarra, come in molti luoghi della Sicilia esisteva una forma particolare di collaborazione tra i vari preti. Si chiamava communia. I servizi religiosi si esercitavano a turno e tutte le offerte venivano poste in una cassa comune e poi divise con equità. All'arciprete toccava il doppio; ma era una usanza pacifica.

La successione degli arcipreti di Ficarra dalla fine del 700 è la seguente: 1790-1800-arc. Stanislao Piccolo; 1802-1805-arc. Bacina Teodoro; 1806-1837-arc. Francesco Paolo Piccolo Grasso; 1838-1869-arc. Pietro Miraglia; 1869-1890-arc. Francesco Piccolo Cupani (Fratello dell'On. Vincenzo); 1891-1910-arc. Giuseppe Piccolo, soprannominato carpanzanu.

Dalla fine del 1600 al 1910 ci sono stati ben sette arcipreti della casa Piccolo, che hanno retto la parrocchia di Ficarra per 140 anni su 210 complessivi.

Fino al 1824 Ficarra faceva parte della diocesi di Messina. Da tale anno entrò a far parte della diocesi di Patti, la quale si arricchì allora di ben 24 comuni. Ciò fu possibile per quanto si era convenuto tra i Borboni e la S. Sede nel concordato del 1818.

Le feste avevano un contenuto religioso e sociale insieme. oltre le 52/53 domeniche dell'anno c'erano in media altre 35 giornate festive a tutti gli effetti. Mons. Migliaccio, vescovo di patti (1698) e poi arcivescovo di Messina, infliggeva la scomunica ai padroni che obbligavano gli operai a lavorare la festa; salvo a munirsi del permesso speciale per il tempo di lavori urgenti.

Erano considerati lavori urgenti; mietere il frumento, allevare il baco da seta, estrarre la seta; esercitare la vendemmia; pescare i tonni; raccogliere le ulive. A chi trasgrediva alle leggi sulla festa c'erano delle multe e il carcere per i recidivi.

A metà dell'Ottocento c'erano a Ficarra due confraternite. Disponendo dello statuto io ricordo la Compagnia confraternita sotto il titolo della Madre SS. del Lume, fondata nell'oratorio di S. Michele del comune di Ficarra.

Lo statuto risale al 1861. Quell'anno il prefetto era Gian Battista D'Amico.

Vediamo qualche articolo dello statuto:

Art. 1° - "Ogni individuo che volgi ascriversi alla confraternità della Madre SS. del Lume dovrà determinarsi alla mutazione della vita perversa, riformare i costumi per mezzo di una esterna mortificazione, dando buon esempio e facendo opere religiose e cristiane; che non abbia più di anni 40, non affetto di cronica malattia e godere nel Comune opinione di religiose e accostumato". L'articolo sembra dettato da un commissario della S. Inquisizione.

Art. 2° - "Non è limitato il numero dei confrati. E questo numero viene composto da individui del basso ceto, maestri di ottimi costumi, non escluso qualche probbo (sic) ed esemplare prete, e galantuomo".

Nel secolo scorso a Ficarra c'erano troppi scrupoli ovvero la moralità lasciava molto a desiderare.

Art. 7° - (omissis) "ognuno da canto suo cooperi con delle volontarie obbligazioni (contributi). Queste somme si impiegheranno:

1° - per il mantenimento di un cappellano sacerdote. 2° - Nella manutenzione (sic) di un medico fisico ed un ghirurgo (sic) per assistere i confrati nelle loro malattie. 3° - Nella compra di medicinali per lo ammalato fratello. 4° - Nella celebrazione di quattro messe lette e una cantata succedendo la morte del fratello. 5° - Per tutt'altre spese di cera e manutensione della chiesa".

Art. 10° - "ogni venerdì di marzo i fratelli inginogghioni (sic) a due a due e battendosi con disciplina, vadano a baciare i piedi del SS. Crocifisso".

(omissis) - "Non possono essere eletti superiori quelli confrati che occupano impieghi odiosi".

Ancora non si parla di cassa da morto e di sepoltura, perché ancora in quel tempo non esisteva il cimitero. Chi moriva veniva posto nella cassa comune della Confraternita e, celebrati i funerali, il cadavere con i propri vestiti ovvero avvolto in un lenzuolo, veniva calato nella cripta o tomba comune, che si trovava sotto tutte le chiese. La sepoltura comune era per tutti. I sacerdoti di Ficarra si erano costruita una cripta propria (sotto e accanto l'attuale sacrestia). Solo presso il convento e alla Batia troviamo sepolcri singoli di nobili.


La cultura nell'Ottocento ficarrese


Una quarantina d'anni fa mi furono donati dei libri, tra i quali c'erano alcuni manoscritti. Erano questi esercitazioni poetiche trascritte da un esperto calligrafo. In essi lo stesso tema viene spesso ripetuto sotto varie forme. Vi sono sestine, epigrammi, anacreontiche, carmina, canti, ecc. La lingua è italiana, latina e siciliana. Non manca qualche esempio in francese. Lo stesso tema viene talvolta cambiato nella forma e nella lingua. Il poeta principale (si può pensare a diversi) scrive mentre risiede a Bronte (uno studente? un sacerdote? un monaco?); riporta a Ficarra, sua patria, i frutti della sua fatica poetica e limette tra gli altri libri della sua famiglia. Peccato che i suoi manoscritti siano stati scelti da un lettore per tenere la contabilità della propria azienda agricola. Così tra le pagine dedicate alle Muse troviamo anche l'andamento economico della casa. Siamo tra la fine del 700 e il principio dell'800. Da vari indizi posso dedurre che nelle famiglie benestanti di Ficarra sanno leggere e scrivere quasi tutti gli uomini.

Come riferisce Padre Ludovico Mancuso, verso la metà del secolo, molte donne delle famiglie benestanti vennero istruite nelle lettere italiane. Coloro, come i sacerdoti, che dovevano saper leggere, spesso erano precettori e maestri di altri.

Un altro metodo per esplorare il grado i cultura, sono i moltissimi libri che c'erano in varie famiglie. Buona parte andarono distrutti.

Come libro di lettura popolare trovai una edizione delle Mille e una notte del 1848. Molti erano i libri di Teologia dommatica e morale, libri spirituali (padre Faber), Storia della Chiesa, Storia della Sicilia (Sanfilippo); molti classici latini, Dante, Petrarca, Alfieri, Metastasio ecc. In ogni casa di sacerdoti c'era l'immancabile Bibbia del Martin.


Vita Economica


Per avere una idea immediata dell'economia ficarrese nell'Ottocento vado a cercare qualche stralcio nei libri poetici.

Pag. 1 - "per tutta la sera di sabato deve aggiustare N° 10 Macine".

Pag. 242 - "Conto di Giovanni Speziali sopra il porco. Corregge del piede dietro la casa tarì 1; Corda che mi tagliarono tarì 1, grani 10; Fichi d'India tarì 17; Denari a suo conto pagati a Marchese Salvatore tarì 7, grani 10; Fichi d'India che nell'ultimo si mangiaron dei miei tarì 3; Per salma mezza ghianda più una tonia? che gli diedi tarì 7; Porzione per averne consegnato salma una tarì 8; Più modello mezzo fave grani 12".

Da pag. 170 - "Frumento seminato infra l'anno 1824; Portella tumoli quanttro mondelli due; Latri consegnato a Speziali mondelli sei e mezzo; dato tutto da me che debbo levarmi innanzi parte; Consegnati a Colavecchio per Masotto tumoli quattro e mondelli due; quali pure devo levarmi innamzi parte; Pompeo tumoli quattro mondello mezzo; Grendi tumoli diciotto e mondello uno e mezzo".

Anche nel terreno collinoso di Ficarra si svolgeva la battaglia del grano. Mal al produzione principale fino al 1880 fu il vino. Quindi seguono le ulive e frutti secchi.

Con la filossera degli anni ottanta ritorna il nocciolo a prendere un posto importante nella coltivazione.

La produzione della seta ebbe una grande importanza in tutto il secolo. Nel 1855 un morbo distrusse tutta la produzione e passeranno diversi anni per riprendersi. Anche i più poveri cercavano di produrre almeno un 'ditale' di bachi da seta; bastava trovare qualche bisaccia di foglia di gelso. I proprietari di gelseti producevano in proprio, pigliando a giornata i lavoratori soprattutto donne. Il commercio della seta fu vario: talvolta si vendevano i bozzoli, altre volte la seta greggia. Spesso nell'estrattura la seta, anche se di ottima qualità, perdeva la lucentezza e veniva deprezzata sul mercato. Quando nacque la filanda a Brolo, i produttori dei paesi vicini ebbero qualche speranza di migliori guadagni.

Molto sviluppata era la lavorazione ai telai del lino, del cotone e della seta. Fino alla seconda guerra mondiale erano numerosi i telai in lavorazione. Ogni famiglia doveva avere la biancheria principale in "tela di casa".

Il ceto maestri ebbe ottimi rappresentanti in vari settori. Solo che vivevano nella speranza che il Signore mandasse una "buona annata" perché i grandi e i piccoli proprietari li cercassero per lavoro.

Spesso andavano a lavorare in casa del richiedente, dove trovavano anche da mangiare.

Molti esercitavano i mestieri più umili per poter campare.

Alla fine del secolo troviamo già una società operaia di mutuo soccorso. Ne fu amico e presidente onorario il magistrato Giuseppe Piccolo Lipari.

Nel primo articolo dello Statuto leggiamo: "La Società operaia di mutuo soccorso si fonda sulla reciproca solidarietà degli uomini e tutti debbono amarsi a norma della massima: amerai il prossimo come te stesso".

All'articolo terzo troviamo: "La società si compone di artisti e artigiani, che siano capaci di compiere adeguatamente un lavoro nell'arte che professano, o tali siano stati, e per essersi dati a mestieri diversi e più proficui, come a dire commercianti, venditori e simili, abbiano lasciato l'arte".

Primo presidente della Società fu Busacca Antonino.

Sugli articoli citati mi premetto qualche osservazione.

Nel primo sembra che sia arrivato a Ficarra lo spirito della Rivoluzione francese. Dal secondo articolo si evidenzia la necessità di essere padroni dell'arte (mettendo da un lato i contadini e dall'altro i civili). Insieme si nota il disagio che i tempi creavano e dove tutti cercavano il mestiere più sicuro economicamente.


Vita pubblica


Nella vita civica, sia con i Borboni che con i Piemontesi, avevano la direzione e il potere assoluto soltanto i ceti abbienti. Molti si erano attesi un cambiamento con la venuta dei Piemontesi; ma nulla cambiò di fatto. Se prima arrivava la nomina dall'alto, adesso si votava per eleggere il sindaco. Ma i votanti sono coloro che pagano una certa tassa di focatico sul commercio o sui beni. Non possono votare "gli analfabeti, le donne, i condannati per vagabondaggio e mendicità, i ricoverati in ospizi di mendicità ecc.".

Secondo il censimento del 1881, Ficarra aveva 2275 abitanti, ma avevano il diritto a votare solo qualche centinaio di cittadini. Era fatale che a comandare ci fossero sempre le stesse persone e delle stesse famiglie.

Ficarra si vantava pure di un ospedale dei poveri con accanto una chiesuola (dov'era?). Una relazione del 1853 dice: "troppo sparuti gli introiti, e bastano appena e con istento, agli alimenti degli infermi".

Vi era anche un monte di prestanza; ma a metà del secolo non era più funzionante per mancanza di fondi.

Ubicato all'angolo destro dell'odierno municipio vi era il monte dei pegni. Non vi so dire quale figura giuridica avesse; ma ancora prima del 1940 vi erano depositati dei pegni mai riscattati.

Figura particolare del secolo scorso fu Padre Illuminato Alberto da Ficarra, ultimo monaco del Convento. Di lui parla Padre Ludovico Mancuso nei brevi cenni sulla vita. In essa leggiamo: "A lui furono date non poche lodi in Bronte, in Messina, in Palermo, quando per i corsi superiori si presentavano i suoi alunni, molti dei quali al presente si fregiano dei belli titoli di sacerdoti, di professori, di dottori". Egli infatti si era fatto promotore di una scuola privata per giovani. Visse con angoscia la fine del grande convento che incominciava a crollare e soprattutto la soppressione del 1866. Morì in una cella del convento nel 1885, a circa settant'anni.

A padre Illuminato è legato un particolare personaggio dell'ottocento ficarrese: il barone Casimiro Piccolo Grasso. Fu lui che consolidò lo splendore economico della famiglia. P. Ludovico racconta che quando padre Illuminato era giovane "sistemò e diresse quella vasta contabilità (del barone); e di tanta solerzia e precisione fece uso, che l'illustre barone mai ebbe a dolersi di lui, il che, "avuto riguardo a certe indoli, vuol dire molto".


Verso il Novecento


Gli anni che vanno dal 1860 al 1900, sono gli anni di maggiore incertezza e di continue novità politiche ed economiche. Crollate nei Siciliani tutti, come nei ficarresi, le illusioni di benessere che dovevano venire dopo l'unità d'Italia, sia i proprietari di terre che tutte le altre categorie vengono continuamente in scontri per la sopravvivenza.

I Piemontesi trovarono sul posto chi opprimesse il popolo a nome loro e nei loro interessi. L'incertezza delle produzioni agricole e le incertezze del mercato fecero nascere in molti la prospettiva di cercare altrove il lavoro. Si parte per la vendemmia a Giarre, per la mietitura nelle marine di Agrigento, si va anche in Tunisia.

Alla fine dell'Ottocento esplode l'emigrazione per l'America.

Si ricorre a prestiti con interessi esosi, si vende la casa o il campicello per il viaggio. L'impianto del nocciolo al posto dei vigneti aveva dato qualche speranza e occupazione in più. Ma per pochi fortunati. Intanto la vecchia classe agraria ficarrese riesce a dare un rappresentante al Parlamento Nazionale. E' l'On. Piccolo Cupani Vincenzo. Egli fece parte del Parlamento per ben sei legislature. Eletto nel maggio 1886 vi rimase fino alla morte avvenuta a Roma il primo marzo 1905.

Era nato a Ficarra il 15 novembre 1835. Dicono che la carrozza che portava il suo cadavere sia stata la prima a passare per la strada Brolo-Ficarra, che lui aveva proposto e voluta.

Altro personaggio in cui si rispecchiava, in parte, Ficarra, fu il magistrato Piccolo Lipari giuseppe. Nato a Ficarra il 9/491853, vi morì il 7 Ottobre 1918. In lui la Società di mutuo soccorso aveva trovato un animatore e un fraterno amico. Sia per l'On. Piccolo Cupani che per il giudice Piccolo Lipari, le voci arrivate fino a noi parlano di persone accoglienti e benevole.

Il nuovo secolo si aprii con due bande musicali. L'una nata nell'ambito dei maestri e l'altra più a sinistra favorita da alcuni civili progressisti. Anche nel suono Ficarra esprime le sue due anime.

Tanti dei problemi dell'Ottocento son rimandati al secolo successivo. Ma ormai tutti incominciamo a capire che la terra di Ficarra non basta più a sfamare i suoi abitanti.

Volere indagare secondo alcune teorie per avere una maggiore comprensione storica su Ficarra può essere utile; ma forse salterebbero fuori difetti e torti di una parte.

Non si capirebbero le infinite sofferenze nascoste e manifestate solo davanti alla Statua dell'Annunziata. E ciò avviene ancora oggi.

Per capire bisogna accettare come guida l'antica sapienza di chi ci nutre, e senza estremismi leggere nell'Ottocento il necessario svolgersi di un cammino verso tempi nuovi e migliori.

Vogliamo capire la vecchia Ficarra senza condannare?

Andiamoci a leggere magari il Gattopardo, nel quale un filone è sicuramente ficarrese; oppure guardare dall'alto, senza tempo nè spazio con, i canti di Lucio Piccolo; ovvero il racconto La gente se ne va di Michele Mancuso padre, dove tante cose vecchie muoiono, ma i tempi migliori sono nella speranza di tutti.

 
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