Ficarra aveva chiuso il
secolo decimottavo subendo, per quanto la
riguardava, le riforme iniziate dai Borboni,
ma insieme mantenendo la chiusura allo spirito
della rivoluzione francese.
La nostra media borghesia agraria, conservatrice
per tradizione e povera di idee, subita
il fascino della monarchia di Ferdinando
IV di Borbone. Quando egli nel 1805, fuggendo
davanti alle truppe napoleoniche, visitava
la Sicilia nella quale si era rifugiato,
per confortarsi insieme ai sudditi, quasi
certamente la delegazione di Ficarra faceva
spicco nella chiesa di Gioiosa Mare, dove
si contò un solenne Te Deum
davanti al Re.
Il senso di patria siciliana, che
attraverso i secoli aveva subito alti e
bassi, all'inizio dell'ottocento spesso
in contrapposizione a Napoli, legava le
varie classi e faceva dimenticare i veri
problemi. Con la Costituzione Siciliana
del 1812 anche il basso ceto si aspettava
una fetta dei beni feudali; ma invece furono
i ceti che erano al potere quelli che consolidarono
il proprio patrimonio e il dominio sugli
altri. A Ficarra la familglia Piccolo, in
origine, poi Piccolo Cupane, Piccolo Grasso,
Piccolo Lipari e le famiglie Milio, Busacca,
Ferraloro, Saitta, Miraglia sono il polo
di potere economico e di comando. Nello
spirito dei tempi attorno a loro si crea
una fitta rete di servizi: campieri,
mezzadri, coloni, criati e personale
di fiducia vario.
Lo stesso basso clero, come quello di Ficarra,
anche quando usciva dalla media borghesia,
era condannato ad una funzione subalterna,
e comunque di comodo. Nel primo ottocento
le classi di Ficarra, pur nella distinzione,
mantenevano una equilibrata collaborazione
nell'interesse dei benestanti e dei ceti
poveri. Se c'era una categoria, temuta dal
ceto abbiente come dai poveri, era la categoria
degli intellettuali per le loro idee giacobine
e spesso anticlericali.
Al Congresso di Vienna del 1815, Ferdinando,
quarto re di Napoli e terzo di Sicilia,
ottiene l'unificazione dei due regni nella
sua persona e prende il nome di Ferdinando
I, re delle Due Sicilie. La sede del regno
diventa Napoli. La Costituzione del 1812
viene annullata e la Sicilia perde ogni
autonomia. Si succedono alcuni anni di tensione,
fino a sfociare nei moti siciliani del 1820-21.
Prima che degenerassero in scontri armati,
con morti e feriti, i siciliani avevano
inviato una petizione al Re confermando
la simpatia nei suoi riguardi, ma chiedendo
una larga autonomia amministrativa. I 1826
abitanti di Ficarra furono tutti solidali,
e il nostro comune fu uno dei dieci
della provincia di Messina a sottoscrivere
la petizione.
Non si è accennato ai Baroni
feudatari di Ficarra sia perché
il comune ormai aveva una completa autonomia
e sia perché la baronia di
Ficarra si era ridotta a puro titolo nobiliare.
Difatti tutti i beni feudali erano stati
alienati. Dall'anno 1761 portava il titolo
di barone di Ficarra don Mariano
Abate Rivarola; dal 1908 fu barone Ignazio
Abate Branciforte. Gli successe Mariano
Abate La Grua, morto nel 1862 a Palermo,
senza eredi.
Alla baronia di Ficarra erano frattanto
subentrati i ceti che con i loro capitali
poterono acquistare grossi fondi e si affiancarono
alle antiche famiglie nobili di Ficarra,
costituendo la nuova classe dei civili.
Nel secolo precendente molti erano diventati
proprietari prendendo in enfiteusi dei fondi.
Tale istituto era stato reso obbligatorio
dai Borboni riguardo ai beni della Chiesa.
Quando nel 1860/66 subentrarono le leggi
eversive piemontesi, gli enti ecclesiastici
di Ficarra avranno ben pochi terreni, ma
solo edifici.
Vita religiosa, economica e sociale
A metà dell'Ottocento vi erano a
Ficarra dieci chiese urbane e cinque
rurali.
Le chiese erano: Chiesa Madre, sede della
Parrocchia Maria SS. Assunta; Chiesa della
Badìa, delle suore Benedettine; Chiesa
S. Maria di Gesù, con il convento
dei Minori Osservanti; Chiesa di S. Niccolò,
con tre altari; Chiesa S. Maria dei Greci
o del Carmine; Chiesa di San Giovanni, tuttora
esistente; Chiesa dello Spirito Santo; Chiesa
di San Marco, tuttora esistente; Chiesa
di S. Michele; Chiesa di S. Francesco Saverio,
non si conosce il luogo.
Le chiesa rurali erano: Chiesa di S. Gaetano,
in contrada S. Noto; Chiesa di S. Giuseppe,
nella contrada omonima; Chiesa S. Francesco
di Paola, in contrada Sirallo; Chiesa di
S. Francesco Saverio, in Matini; Chiesa
della Purità, in contrada Spartà.
Le chiese principali avevano il sacerdote
in servizio stabile per la messa quotidiana.
Molti legati assicuravano le somme per la
celebrazione quotidiana delle Messe.
A Ficarra, come in molti luoghi della Sicilia
esisteva una forma particolare di collaborazione
tra i vari preti. Si chiamava communia.
I servizi religiosi si esercitavano a turno
e tutte le offerte venivano poste in una
cassa comune e poi divise con equità.
All'arciprete toccava il doppio;
ma era una usanza pacifica.
La successione degli arcipreti di Ficarra
dalla fine del 700 è la seguente:
1790-1800-arc. Stanislao Piccolo; 1802-1805-arc.
Bacina Teodoro; 1806-1837-arc. Francesco
Paolo Piccolo Grasso; 1838-1869-arc. Pietro
Miraglia; 1869-1890-arc. Francesco Piccolo
Cupani (Fratello dell'On. Vincenzo); 1891-1910-arc.
Giuseppe Piccolo, soprannominato carpanzanu.
Dalla fine del 1600 al 1910 ci sono stati
ben sette arcipreti della casa Piccolo,
che hanno retto la parrocchia di Ficarra
per 140 anni su 210 complessivi.
Fino al 1824 Ficarra faceva parte della
diocesi di Messina. Da tale anno entrò
a far parte della diocesi di Patti, la quale
si arricchì allora di ben 24 comuni.
Ciò fu possibile per quanto si era
convenuto tra i Borboni e la S. Sede nel
concordato del 1818.
Le feste avevano un contenuto religioso
e sociale insieme. oltre le 52/53 domeniche
dell'anno c'erano in media altre 35 giornate
festive a tutti gli effetti. Mons. Migliaccio,
vescovo di patti (1698) e poi arcivescovo
di Messina, infliggeva la scomunica ai padroni
che obbligavano gli operai a lavorare la
festa; salvo a munirsi del permesso speciale
per il tempo di lavori urgenti.
Erano considerati lavori urgenti; mietere
il frumento, allevare il baco da seta, estrarre
la seta; esercitare la vendemmia; pescare
i tonni; raccogliere le ulive. A chi trasgrediva
alle leggi sulla festa c'erano delle multe
e il carcere per i recidivi.
A metà dell'Ottocento c'erano a
Ficarra due confraternite. Disponendo dello
statuto io ricordo la Compagnia confraternita
sotto il titolo della Madre SS. del Lume,
fondata nell'oratorio di S. Michele del
comune di Ficarra.
Lo statuto risale al 1861. Quell'anno il
prefetto era Gian Battista D'Amico.
Vediamo qualche articolo dello statuto:
Art. 1° - "Ogni individuo che
volgi ascriversi alla confraternità
della Madre SS. del Lume dovrà determinarsi
alla mutazione della vita perversa, riformare
i costumi per mezzo di una esterna mortificazione,
dando buon esempio e facendo opere religiose
e cristiane; che non abbia più di
anni 40, non affetto di cronica malattia
e godere nel Comune opinione di religiose
e accostumato". L'articolo sembra dettato
da un commissario della S. Inquisizione.
Art. 2° - "Non è limitato
il numero dei confrati. E questo numero
viene composto da individui del basso
ceto, maestri di ottimi costumi, non
escluso qualche probbo (sic) ed esemplare
prete, e galantuomo".
Nel secolo scorso a Ficarra c'erano troppi
scrupoli ovvero la moralità lasciava
molto a desiderare.
Art. 7° - (omissis) "ognuno
da canto suo cooperi con delle volontarie
obbligazioni (contributi). Queste
somme si impiegheranno:
1° - per il mantenimento di un cappellano
sacerdote. 2° - Nella manutenzione (sic)
di un medico fisico ed un ghirurgo (sic)
per assistere i confrati nelle loro malattie.
3° - Nella compra di medicinali per
lo ammalato fratello. 4° - Nella celebrazione
di quattro messe lette e una cantata succedendo
la morte del fratello. 5° - Per tutt'altre
spese di cera e manutensione della chiesa".
Art. 10° - "ogni venerdì
di marzo i fratelli inginogghioni (sic)
a due a due e battendosi con disciplina,
vadano a baciare i piedi del SS. Crocifisso".
(omissis) - "Non possono essere
eletti superiori quelli confrati che occupano
impieghi odiosi".
Ancora non si parla di cassa da morto e
di sepoltura, perché ancora in quel
tempo non esisteva il cimitero. Chi moriva
veniva posto nella cassa comune della Confraternita
e, celebrati i funerali, il cadavere con
i propri vestiti ovvero avvolto in un lenzuolo,
veniva calato nella cripta o tomba comune,
che si trovava sotto tutte le chiese. La
sepoltura comune era per tutti. I sacerdoti
di Ficarra si erano costruita una cripta
propria (sotto e accanto l'attuale sacrestia).
Solo presso il convento e alla Batia troviamo
sepolcri singoli di nobili.
La cultura nell'Ottocento ficarrese
Una quarantina d'anni fa mi furono donati
dei libri, tra i quali c'erano alcuni manoscritti.
Erano questi esercitazioni poetiche trascritte
da un esperto calligrafo. In essi lo stesso
tema viene spesso ripetuto sotto varie forme.
Vi sono sestine, epigrammi, anacreontiche,
carmina, canti, ecc. La lingua è
italiana, latina e siciliana. Non manca
qualche esempio in francese. Lo stesso tema
viene talvolta cambiato nella forma e nella
lingua. Il poeta principale (si può
pensare a diversi) scrive mentre risiede
a Bronte (uno studente? un sacerdote? un
monaco?); riporta a Ficarra, sua patria,
i frutti della sua fatica poetica e limette
tra gli altri libri della sua famiglia.
Peccato che i suoi manoscritti siano stati
scelti da un lettore per tenere la contabilità
della propria azienda agricola. Così
tra le pagine dedicate alle Muse troviamo
anche l'andamento economico della casa.
Siamo tra la fine del 700 e il principio
dell'800. Da vari indizi posso dedurre che
nelle famiglie benestanti di Ficarra sanno
leggere e scrivere quasi tutti gli uomini.
Come riferisce Padre Ludovico Mancuso,
verso la metà del secolo, molte donne
delle famiglie benestanti vennero istruite
nelle lettere italiane. Coloro, come
i sacerdoti, che dovevano saper leggere,
spesso erano precettori e maestri di altri.
Un altro metodo per esplorare il grado
i cultura, sono i moltissimi libri che c'erano
in varie famiglie. Buona parte andarono
distrutti.
Come libro di lettura popolare trovai una
edizione delle Mille e una notte del 1848.
Molti erano i libri di Teologia dommatica
e morale, libri spirituali (padre Faber),
Storia della Chiesa, Storia della Sicilia
(Sanfilippo); molti classici latini, Dante,
Petrarca, Alfieri, Metastasio ecc. In ogni
casa di sacerdoti c'era l'immancabile Bibbia
del Martin.
Vita Economica
Per avere una idea immediata dell'economia
ficarrese nell'Ottocento vado a cercare
qualche stralcio nei libri poetici.
Pag. 1 - "per tutta la sera di sabato
deve aggiustare N° 10 Macine".
Pag. 242 - "Conto di Giovanni Speziali
sopra il porco. Corregge del piede dietro
la casa tarì 1; Corda che mi tagliarono
tarì 1, grani 10; Fichi d'India tarì
17; Denari a suo conto pagati a Marchese
Salvatore tarì 7, grani 10; Fichi
d'India che nell'ultimo si mangiaron dei
miei tarì 3; Per salma mezza ghianda
più una tonia? che gli diedi tarì
7; Porzione per averne consegnato salma
una tarì 8; Più modello mezzo
fave grani 12".
Da pag. 170 - "Frumento seminato infra
l'anno 1824; Portella tumoli quanttro mondelli
due; Latri consegnato a Speziali mondelli
sei e mezzo; dato tutto da me che debbo
levarmi innanzi parte; Consegnati a Colavecchio
per Masotto tumoli quattro e mondelli due;
quali pure devo levarmi innamzi parte; Pompeo
tumoli quattro mondello mezzo; Grendi tumoli
diciotto e mondello uno e mezzo".
Anche nel terreno collinoso di Ficarra
si svolgeva la battaglia del grano. Mal
al produzione principale fino al 1880 fu
il vino. Quindi seguono le ulive e frutti
secchi.
Con la filossera degli anni ottanta
ritorna il nocciolo a prendere un posto
importante nella coltivazione.
La produzione della seta ebbe una grande
importanza in tutto il secolo. Nel 1855
un morbo distrusse tutta la produzione e
passeranno diversi anni per riprendersi.
Anche i più poveri cercavano di produrre
almeno un 'ditale' di bachi da seta; bastava
trovare qualche bisaccia di foglia di gelso.
I proprietari di gelseti producevano in
proprio, pigliando a giornata i lavoratori
soprattutto donne. Il commercio della seta
fu vario: talvolta si vendevano i bozzoli,
altre volte la seta greggia. Spesso nell'estrattura
la seta, anche se di ottima qualità,
perdeva la lucentezza e veniva deprezzata
sul mercato. Quando nacque la filanda
a Brolo, i produttori dei paesi vicini ebbero
qualche speranza di migliori guadagni.
Molto sviluppata era la lavorazione ai
telai del lino, del cotone e della seta.
Fino alla seconda guerra mondiale erano
numerosi i telai in lavorazione. Ogni famiglia
doveva avere la biancheria principale in
"tela di casa".
Il ceto maestri ebbe ottimi rappresentanti
in vari settori. Solo che vivevano nella
speranza che il Signore mandasse una "buona
annata" perché i grandi e i
piccoli proprietari li cercassero per lavoro.
Spesso andavano a lavorare in casa del
richiedente, dove trovavano anche da mangiare.
Molti esercitavano i mestieri più
umili per poter campare.
Alla fine del secolo troviamo già
una società operaia di mutuo soccorso.
Ne fu amico e presidente onorario il magistrato
Giuseppe Piccolo Lipari.
Nel primo articolo dello Statuto
leggiamo: "La Società operaia
di mutuo soccorso si fonda sulla reciproca
solidarietà degli uomini e tutti
debbono amarsi a norma della massima: amerai
il prossimo come te stesso".
All'articolo terzo troviamo: "La
società si compone di artisti e artigiani,
che siano capaci di compiere adeguatamente
un lavoro nell'arte che professano, o tali
siano stati, e per essersi dati a mestieri
diversi e più proficui, come a dire
commercianti, venditori e simili, abbiano
lasciato l'arte".
Primo presidente della Società fu
Busacca Antonino.
Sugli articoli citati mi premetto qualche
osservazione.
Nel primo sembra che sia arrivato a Ficarra
lo spirito della Rivoluzione francese. Dal
secondo articolo si evidenzia la necessità
di essere padroni dell'arte (mettendo da
un lato i contadini e dall'altro i civili).
Insieme si nota il disagio che i tempi creavano
e dove tutti cercavano il mestiere più
sicuro economicamente.
Vita pubblica
Nella vita civica, sia con i Borboni che
con i Piemontesi, avevano la direzione e
il potere assoluto soltanto i ceti abbienti.
Molti si erano attesi un cambiamento con
la venuta dei Piemontesi; ma nulla cambiò
di fatto. Se prima arrivava la nomina dall'alto,
adesso si votava per eleggere il sindaco.
Ma i votanti sono coloro che pagano una
certa tassa di focatico sul commercio o
sui beni. Non possono votare "gli
analfabeti, le donne, i condannati per vagabondaggio
e mendicità, i ricoverati in ospizi
di mendicità ecc.".
Secondo il censimento del 1881, Ficarra
aveva 2275 abitanti, ma avevano il diritto
a votare solo qualche centinaio di cittadini.
Era fatale che a comandare ci fossero sempre
le stesse persone e delle stesse famiglie.
Ficarra si vantava pure di un ospedale
dei poveri con accanto una chiesuola
(dov'era?). Una relazione del 1853 dice:
"troppo sparuti gli introiti, e bastano
appena e con istento, agli alimenti degli
infermi".
Vi era anche un monte di prestanza;
ma a metà del secolo non era più
funzionante per mancanza di fondi.
Ubicato all'angolo destro dell'odierno
municipio vi era il monte dei pegni.
Non vi so dire quale figura giuridica avesse;
ma ancora prima del 1940 vi erano depositati
dei pegni mai riscattati.
Figura particolare del secolo scorso fu
Padre Illuminato Alberto da Ficarra, ultimo
monaco del Convento. Di lui parla Padre
Ludovico Mancuso nei brevi cenni sulla vita.
In essa leggiamo: "A lui furono date
non poche lodi in Bronte, in Messina, in
Palermo, quando per i corsi superiori si
presentavano i suoi alunni, molti dei quali
al presente si fregiano dei belli titoli
di sacerdoti, di professori, di dottori".
Egli infatti si era fatto promotore di una
scuola privata per giovani. Visse con angoscia
la fine del grande convento che incominciava
a crollare e soprattutto la soppressione
del 1866. Morì in una cella del convento
nel 1885, a circa settant'anni.
A padre Illuminato è legato un particolare
personaggio dell'ottocento ficarrese: il
barone Casimiro Piccolo Grasso. Fu lui che
consolidò lo splendore economico
della famiglia. P. Ludovico racconta che
quando padre Illuminato era giovane "sistemò
e diresse quella vasta contabilità
(del barone); e di tanta solerzia e precisione
fece uso, che l'illustre barone mai ebbe
a dolersi di lui, il che, "avuto
riguardo a certe indoli, vuol dire molto".
Verso il Novecento
Gli anni che vanno dal 1860 al 1900, sono
gli anni di maggiore incertezza e di continue
novità politiche ed economiche. Crollate
nei Siciliani tutti, come nei ficarresi,
le illusioni di benessere che dovevano venire
dopo l'unità d'Italia, sia i proprietari
di terre che tutte le altre categorie vengono
continuamente in scontri per la sopravvivenza.
I Piemontesi trovarono sul posto chi opprimesse
il popolo a nome loro e nei loro interessi.
L'incertezza delle produzioni agricole e
le incertezze del mercato fecero nascere
in molti la prospettiva di cercare altrove
il lavoro. Si parte per la vendemmia a Giarre,
per la mietitura nelle marine di Agrigento,
si va anche in Tunisia.
Alla fine dell'Ottocento esplode l'emigrazione
per l'America.
Si ricorre a prestiti con interessi esosi,
si vende la casa o il campicello per il
viaggio. L'impianto del nocciolo al posto
dei vigneti aveva dato qualche speranza
e occupazione in più. Ma per pochi
fortunati. Intanto la vecchia classe agraria
ficarrese riesce a dare un rappresentante
al Parlamento Nazionale. E' l'On. Piccolo
Cupani Vincenzo. Egli fece parte del Parlamento
per ben sei legislature. Eletto nel maggio
1886 vi rimase fino alla morte avvenuta
a Roma il primo marzo 1905.
Era nato a Ficarra il 15 novembre 1835.
Dicono che la carrozza che portava il suo
cadavere sia stata la prima a passare per
la strada Brolo-Ficarra, che lui aveva proposto
e voluta.
Altro personaggio in cui si rispecchiava,
in parte, Ficarra, fu il magistrato Piccolo
Lipari giuseppe. Nato a Ficarra il 9/491853,
vi morì il 7 Ottobre 1918. In lui
la Società di mutuo soccorso aveva
trovato un animatore e un fraterno amico.
Sia per l'On. Piccolo Cupani che per il
giudice Piccolo Lipari, le voci arrivate
fino a noi parlano di persone accoglienti
e benevole.
Il nuovo secolo si aprii con due bande
musicali. L'una nata nell'ambito dei
maestri e l'altra più a sinistra
favorita da alcuni civili progressisti.
Anche nel suono Ficarra esprime le sue due
anime.
Tanti dei problemi dell'Ottocento son rimandati
al secolo successivo. Ma ormai tutti incominciamo
a capire che la terra di Ficarra non basta
più a sfamare i suoi abitanti.
Volere indagare secondo alcune teorie per
avere una maggiore comprensione storica
su Ficarra può essere utile; ma forse
salterebbero fuori difetti e torti di una
parte.
Non si capirebbero le infinite sofferenze
nascoste e manifestate solo davanti alla
Statua dell'Annunziata. E ciò avviene
ancora oggi.
Per capire bisogna accettare come guida
l'antica sapienza di chi ci nutre, e senza
estremismi leggere nell'Ottocento il necessario
svolgersi di un cammino verso tempi nuovi
e migliori.
Vogliamo capire la vecchia Ficarra senza
condannare?
Andiamoci a leggere magari il Gattopardo,
nel quale un filone è sicuramente
ficarrese; oppure guardare dall'alto, senza
tempo nè spazio con, i canti di Lucio
Piccolo; ovvero il racconto La gente
se ne va di Michele Mancuso padre, dove
tante cose vecchie muoiono, ma i tempi migliori
sono nella speranza di tutti. |